giovedì 12 settembre 2013

Dove ti ho già vista.


Non mi ricordo bene dove, eppure ti ho già vista. Forse tutte le volte che ho girato a piedi intorno alla città ed era inverno, e il mare non mi sembrava affatto stesse sorridendo, e il freddo mi diceva di tornare indietro a ogni angolo, e io invece abbassavo lo sguardo per sottrarre la bocca al gelo ed ecco, là, dentro ai passi contro il vento, sull'asfalto che non ha mai fatto niente per facilitare il mio cammino, devo averti vista proprio dentro a quei passi veloci eppure incerti. O forse no. Non mi ricordo dove, eppure ti ho già vista. Dev'essere stato quel giorno che mi sono chiesto perché, ed era già ormai un numero immenso di volte che non avevo una risposta certa a una domanda tanto sfacciata. Ho incrociato allora, credendo che fosse per sbaglio o per caso, qualcuna delle tue parole. Sorridendo sono rimasto un momento a rileggerle e pensare che forse non tutto era davvero perduto, poiché qualcuno sapeva prendersi cura dei pensieri messi nero su bianco più o meno come ho sempre amato fare io. Persino meglio. O forse no. Non mi ricordo, eppure ti ho già vista. È probabile sia capitato quando hai accarezzato lievemente uno dei miei pensieri e ho creduto che volessi dirmi qualcosa, poi la corsa, la stupida corsa verso un male peggiore mi ha distratto e allora m'è rimasto solo il dubbio di aver dimenticato di fare qualcosa d'importante, di bello persino. Hai presente quando metti le mani in tasca prima di partire? Si, tu lo sai. Hai presente quando provi a rileggere in mente una lista delle cose da prendere che avresti dovuto scrivere e poi hai preferito fingere di dimenticare, impiegando quel tempo prezioso a guardare il soffitto che ti sorrideva? Ecco, quella lista che prima di essere arrivato in fondo non sai già più cosa c'era in cima. Si, forse ti ho vista in uno di quei momenti in cui ho pensato che portare in viaggio qualcuno è l'unico modo per non doversi preoccupare di aver preso tutto quello che serve davvero. O forse no. Non mi ricordo, eppure ti ho vista. Passavi inquieta tra le povere cose di uno sconosciuto e velocemente alzando lo sguardo ti chiedevi che cosa ci fosse di vero dentro al costume stantio di un simile egocentrico attore. In quell'istante ho probabilmente pensato che ci fossero lunghi momenti, e non so bene perché, in cui tu non sorridessi, prestando piuttosto l'orecchio al futuro per sentire il rumore che ti era riservato, o invece appoggiando la faccia al passato sperando che per una volta non ne venisse baccano. Dev'essere stato allora. Adesso mi sembra di ricordare, ho provato il breve sollievo della calma, delle cose dette in fretta, della pelle su cui parlare muovendo le labbra ed evitando ogni suono. Ho pensato che avrei voluto fermarmi e finalmente riposare e che forse non avrei avuto paura di rimettermi in marcia. O forse no. Non ricordo, eppure ti ho vista. Mi sovviene chiaramente il sorriso sottile e leggero a cui non ho volontariamente posto rimedio dicendo a me stesso — non so davvero bene perché — che quella sconosciuta, in qualche modo sempre presente, doveva serbare da qualche parte un sentimento gigantesco eppure leggero, bianco e accogliente, silenzioso e finalmente sufficiente a lenire certi dolori. Mi ricordo anche di avere invidiato la sua capacità di riflettere prima di scrivere e presumibilmente parlare, forse per via del desiderio che ho sempre avuto di essere meno impulsivo. O forse no. Ricordo, ti ho vista. Ed è stato un momento che ho tenuto a lungo lontano. Per un tempo terribilmente grande, dilatato e pesante come una vecchia coperta che ancora conservo, fatta dalle mani instancabili della mamma di mia madre più di quarant'anni fa con quel che restava dei calzini di lana bucati e ormai impossibili da sistemare di nuovo. Ecco, vedi, questa coperta ha una forma strana che non sapresti mai scegliere qual è il verso giusto, con le maglie larghissime che ci si vede attraverso, eppure pesante da farti sentire amorevolmente schiacciato. È calda, una coperta a maglia larga che ci passa il freddo attraverso ma tu non lo senti. Quelle sono le mani di chi ha cresciuto una carovana di bambini con l'unica forza possibile, quella delle cose faticose e giuste. E la conservo per farne un regalo a ogni inverno. E temo il giorno in cui sarà il ricordo di qualcuno. Ma non temo il freddo, quello non lo temo affatto. O forse no. Ti ricordo. Come si fa con le pochissime cose delle quali hai capito che non è il caso di avere paura.






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