domenica 20 febbraio 2011

Il pianto è servito.


Come l’inusuale pianto della notte
Non verso una lacrima
E’ solo la vita meschina
Un singulto          
Un rigurgito
L’anima

Come è odioso soffrire
Questa sofferenza così delicata
Impalpabile
Estrema

Non porto il gesto alla tempia
E tutto finisce nel verbo     

Questo fragore che si contorce nel petto è la paura di tutto.

sabato 5 febbraio 2011

Scambiatevi un segno di brace.


Dove la trovo una mente di scorta? Un cervello di ricambio? Una coscienza pulita? Un'anima nuova di zecca? Una sensibilità ricostituita? Una cattiveria meglio radicata? Un piglio severo? Un'insicurezza meno presente? Un motivo valido? Uno scopo preciso? Uno stimolo nuovo? Un amore abbacinante? Un delirio poco evidente? Un coraggio determinante? E un ascensore fuori servizio? Dove lo trovo? Una corda delicata e al contempo priva di scrupoli? Una finestra spalancata sull'asfalto lontano alla vista? Una traiettoria interrotta? Un luogo sperduto e a portata di mano? Nuova vita per i polsi? Dove la trovo? Stimolo per le dita? Vigore per la lotta? Forza, pazienza, tolleranza? Dove le trovo? Vi supplico, datemi una risposta ed in nome del dubbio scambiatevi un segno di brace.

martedì 1 febbraio 2011

Specchio delle mie trame...


Sembra buio. Invece è soltanto quella breve sensazione di cecità causata da un'esplosione di luce. Come svegliandosi nel cuore della notte per un bicchiere d'acqua. Tornando a letto, mentre è flebile la speranza di non beccare in pieno una parete, muovendosi nel buio della casa, fidandosi delle abitudini, della sedimentazione dei movimenti quotidiani. Cercando di raggiungere il giaciglio morbido che ancora conserva il nostro tepore, una veloce svolta a sinistra, una capatina in bagno. Nessuna necessità. Lo specchio però ci aspetta per tutta la notte. Un passo, con le dita assonnate pigiamo l'interruttore, la luce. Un intenso istante  di dolore visivo. Macchie verdastre agli angoli degli occhi. Veloci come ghigliottine, le palpebre calano a ricreare un benefico buio artificiale. Poi l'abitudine si fa spazio pian piano, due passi ancora, un gradino, il cuore che batte, d'un fiato lo sguardo all'immagine riflessa. Si, che sollievo. Il viso è il solito, nessuna sorpresa notturna, troppi romanzi macabri, tutto qua. Nel silenzio  fisso ed a tratti strafottente delle stanze che dormono, delle strade che tacciono, mentre gli occhi sono puntati negli occhi familiari dall'altra parte del vetro, la paura tremenda di una metamorfosi repentina. Il viso che perde i tratti umani per acclararsi come punizione ai peccati, come giustificazione al malessere. Nulla invece. Le mani lasciano il lavabo freddo sul quale avevano trovato attracco sicuro. La luce è nuovamente spenta. Il passo velocissimo sino al letto. Le coperte si accollano responsabilità che solitamente spettano alle pareti ed al soffitto. Le lenzuola respirano, solo questo, nella notte, può spiegare certi rumori sottili e vicini. Quasi ritorna il sonno tranquillo, la stanchezza meritata. Nella necessità comune di mettersi a giacere sull'altra spalla, distrattamente una mano sul volto. Il terrore che immobilizza i felini domestici mentre l'auto sopraggiunge ad ucciderli, lo stesso terrore impone improvvisamente le mani giunte, il fiato corto e veloce. Le ore passeranno e la fronte gronderà la paura liquida che durante la corsa è sudore. Il mattino tanto lontano quando lo si teme, non arriva mai quando lo si desidera, una ovvietà. Domani, domani mattina, con la luce naturale, tutto sarà passato.