domenica 29 luglio 2012

Lottava. Meraviglia del mondo.





Ovunque poserai lo sguardo, non chiudere gli occhi. Così mi disse il vecchio. E mi voleva bene. E qualcosa di vero doveva esserci. E allora per anni non chiusi gli occhi. E pensai di essere guarito. Così, in un piccolo giorno d'estate, mi fermai a sedare la sete. E portando alle labbra un bicchiere di vino, mi accorsi che queste stavano persino sorridendo. Ed era sollievo. Il sollievo dell'ossessione che finalmente t'abbandona. Il sollievo dei ricordi che ti lasciano in pace. Quello del cuore che respira. Rimasi più o meno dieci anni con gli occhi aperti. Imparai a dormire senza abbandonare le palpebre. Non fu facile. Per niente. E il vecchio, che nel frattempo aveva salutato la terra per sempre, aveva maledettamente ragione. In quel pomeriggio minuscolo, dentro all'unica estate senza lacrime, bevvi un altro bicchiere. E smisi d'aver sete. Dal sorriso alle parole di conforto, il passo è breve. E presi ad augurare ogni bene a chiunque mi capitasse a portata di braccia. Guarito. Definitivamente. Avrei dovuto dirlo a tutti, di come si può dimenticare, semplicemente tenendo a mente di non chiudere gli occhi. Nulla sembrava poter più accelerare il ritmo cardiaco senza ch'io lo volessi. Tenendo gli occhi sempre bene aperti, avevo camminato. Avevo camminato tanto che, dopo aver bevuto e chiacchierato con le ombre di quel pomeriggio sereno, pensai di potermi concedere un secondo. Un solo secondo con gli occhi chiusi. Questo ebbi a desiderare, chiudere gli occhi di nuovo, solo per un momento. Non seppi resistere alla tentazione di dimenticare le parole grevi del vecchio. Lui no, non aveva mai parlato di una tregua. Né del riposo. Colpa del vino. Colpa della libertà dell'anima dal giogo dell'amore proibito. Colpa del pomeriggio e del caldo. Pensai pure che, ritrovato il buio delle palpebre abbassate, avrei saputo insegnare meglio agli altri come ritornare liberi dai sentimenti. Un terzo bicchiere, non per la sete, non per quella della bocca. Non seppi nemmeno riflettere. Riflettere sul piacere del poter abbandonare i muscoli del viso. Come un colpo di vento che porta sabbia sui bulbi. Così chiusi gli occhi. Li riaprii immediatamente. Un tempo tanto minuscolo, da non poter essere quantificato sul polso. Li riaprii col fiato che mi mancava. Non appena la luce tornò a prendersi il mio sguardo, lei apparve. Bellissima come non l'avevo immaginata mai. Dolorosa come la fame più lunga. E non che ci fosse qualcuno intorno, oltre alla sciatta locandiera. Nessuno, tranne me e la mia malattia. E per aver chiuso gli occhi un momento, non seppi davvero riaprirli mai più. Questo è il tedio che capita di dover sopportare. Questa è la punizione anticipata per i peccati che forse non si commetteranno mai. Il vecchio aveva ragione da vendere. Solo con gli occhi aperti si può sfuggire ai sogni. Forse persino fermarsi un attimo ad esser felici.




lunedì 23 luglio 2012

Solo. Andata.


Partiremo insieme, come mille volte abbiamo progettato di fare. Arriveremo lontano, come ci è sempre piaciuto sperare. Torneremo indietro e saremo più felici di prima, perché saremo finalmente, l'uno per l'altra, anche un odore. E con questa storia delle partenze, ci abbiamo tenuto a bada le notti. Con la brama di obliterare, che neanche è più necessario, abbiamo scatenato la nostra ira sul cuscino perennemente madido di desideri. Imprecisi ma forti. E non importa se neanche sappiamo ancora come suona la nostra voce al mattino, subito dopo avere aperto gli occhi. Non importa se in cuore non portiamo il battito del sentirsi chiamare all'improvviso, girarsi, e trovarsi l'uno ad un passo dall'altra, come fosse la cosa più naturale del mondo. Perché si, amarsi in carne ed ossa è una necessità che bisogna prendere seriamente in considerazione. E non importa se in un passato più o meno recente tutto questo è già accaduto. Non importa se ti ho detto cose bellissime e se sono scappato mille volte. Non importa se non mi fido di nessuno e di me ancora meno. Non importa se ti ho spinta dove non ho saputo perdonarti di essere andata. Non importa se mi faccio del male e non so neanche perché. Non importa se la notte suona sempre una musica meravigliosa che la luce del giorno non può capire. Non importa se quel che ho provato è stata l'unica cosa degna di nota di tutta una vita. Non importa se non ho saputo restare per il solo dovere che si dovrebbe a chi ha saputo mostrarti cos'è l'amore incondizionato. Non importa se per strada ho amato la strada. Se al buio ho amato una sconosciuta. Se in viaggio ho amato allontanarmi e persino desiderato non smettere mai di viaggiare. Verrò a prenderti, esattamente come ho immaginato fino allo sfinimento dei ricordi. Non vorrò incontrarti a metà strada, perché sarebbe una sofferenza condivisa e io, invece, voglio correre fino a sentire la bava alla bocca. E il petto stupito dalla mancanza di aria. E le tempie impazzite per lo sforzo necessario ad aspettare quell'ultima, meravigliosa attesa. E non saprò evitare d'immaginarti con un abito a fiori, sottile e sgualcito, come quello di una bimba che lo indossa suo malgrado, mentre vorrebbe mettersi nuda a giocare con le mani nella terra. Non saprò evitare di vederti, chiudendo gli occhi brevemente, con la testa appoggiata allo stipite della porta, la mano destra già sullo spallaccio della borsa, le labbra schiantate dal nervoso mordere dei denti bianchi che sembrano non aver mai neanche mangiato. Ed avrai, lo so, gli occhi viola del peccato più grosso che ho commesso. Quelli verdi della realtà di cui non mi sono potuto nutrire. Quelli azzurri del sonno che non ho lungamente dormito. Cerulei di quando amavo con il cuore di un bambino e la paura di un vecchio. E infine i tuoi. Gli occhi incredibili della sorpresa capitata per caso. Del dubbio. Della pazienza. Del sorriso. Della pazzia. Ci terremo pure la mano, lo giuro, come se non fossero le rotaie a condurci, ma le gambe. Le nostre gambe mai stanche. Ho idea, infine, che dire tutte queste cose con la bocca che freme di saziarsi, sarà l'impresa più ardua che abbia mai tentato. Ho idea che potrò liberare le braccia una volta e per sempre. Ho idea che gli altri passeggeri sorrideranno parecchio a vederci mentre ci terremo stretti i polsi. Perché lo so, faremo il possibile per evitare di sfuggirci ancora. Queste ed altre cose faremo. E saranno tutte indimenticabili. Però domani c'è lavoro, allora partiremo la prossima volta. Intanto tu cerca di essere felice.