domenica 22 novembre 2015

Caro amico mi scrivo



(lettera a me stesso)
Se tutto andrà come spero ancora che vada, questa cosa te la dimenticherai e non ci sarà modo di fartela leggere. Se tutto andrà come ancora spero che vada, già dopodomani questa zuppa insapore di parole senza ricetta sarà sepolta sotto una pila interminabile di soluzioni da opporre ad altrettanti problemi. Eppure mi piacerebbe dirti che sei l'unica persona in cui ho creduto davvero, l'unica a cui ho parlato sinceramente e mentito senza mai pentirmene. Te ne ho raccontate di stronzate, a volte le hai bevute, a volte hai fatto finta di crederci perché hai capito che tanto una soluzione migliore non c'era. Te ne ho rifiliate di verità agghiaccianti senza che m'importasse di come le avresti prese. Ti ho tenuto sveglio fino all'alba ogni volta che ne ho avuto voglia. Ho fatto silenzio quando avresti voluto sentirmi dire qualcosa, qualsiasi cosa. Ho parlato, gridato, cantato, camminato nervosamente battendo le mani quando ti sarebbe piaciuto abbandonarti alla stanchezza. Ti ho fatto mille promesse, molte le ho mantenute, molte altre le ho disattese per principio. Sono stato un compagno pessimo, immagino sia questo che pensi di me. Un compagno pessimo eppure migliore di tutti gli altri che ti hanno indicato la strada per imboccarne immediatamente una diversa. Ti sono rimasto accanto, imbecille. Ti sono stato col fiato sul collo anche quando avresti voluto sparissi. Ti ho tenuto il braccio tutte le volte che le gambe hanno ceduto. Ho messo la mano sulla tua fronte ogni volta che, in ginocchio, hai vomitato quella che avresti desiderato fosse anima e invece era soltanto idiozia. Quante volte avrei voluto prenderti a calci in culo, spingerti oltre l'uscio della porta a spintoni, mandarti lontano minacciandoti col pugno chiuso e gli occhi pieni di rabbia. Mi piacerebbe dirti anche che ho avuto sempre ragione, che ne è valsa ogni volta la pena, che hai fatto bene a non fermarti quando ti sembrava inutile insistere, che hai sempre avuto la colpa di tutto, che sei stato troppo sensibile, eccessivamente drammatico, terribilmente egoista, irrimediabilmente indeciso. Mi farebbe star meglio poterti garantire che ogni fallimento è dipeso davvero da te, che ogni rinuncia te la sei cercata, che ogni successo non è venuto dal caso ma dall'impegno, dal duro lavoro, dalla coerenza, dalla correttezza, dal rispetto dei sani principi di convivenza civile, dall'aver parcheggiato sempre e solo dove non c'era un divieto, dal non aver rubato mai nemmeno per gioco. Mi farebbe star meglio sigillare questa specie di busta mettendoci dentro qualche certezza, poterla riempire di pacche sulla spalla, dirti che hai fatto bene ad amare quando ne sentivi il bisogno, a prestare il fianco anche se ti doleva già molto. Ho fatto del mio meglio, questo vorrei lo sapessi. Mi sono dovuto immaginare consigli che nessuno mi ha dato e raccontarteli perché sembrassero saggi e indubbiamente efficaci. Abbiamo vissuto insieme quasi tutta la vita, e così vorrei sentire il bisogno di ringraziarti per tutte le cose belle che abbiamo fatto, ma io di ringraziare come si deve non sono capace. Chissà se anche tu, da qualche parte nel tempo, sei seduto e mi pensi. Chissà se sorridi come io sto facendo ora e se provi a mettere nero su bianco tutte le cose che hai sempre avuto paura di dirmi. Chissà se sei finalmente grande davvero, se vivi dove hai così a lungo desiderato vivere, se indossi il cappotto pesante che hai immaginato un giorno sì e l'altro pure, se accompagni qualcuno a scuola, se hai imparato di nuovo a dire ti amo, se c'è qualcuno che ride per le tue sciocchezze sempre uguali e gioisce per i tuoi banali slanci di romanticismo. Mi chiedo pure ogni tanto se hai comprato quell'auto con le ruote grosse, se non hai più paura del silenzio, se continui a comprare fiori in quel giorno preciso che precede di poco la primavera, se hai insegnato a qualcuno a sdraiarsi sotto l'albero di Natale dopo aver collegato le luci e restare a guardarle mentre si accendono e si spengono. Si accendono. E si spengono. Se avessi imparato a mettere ordine nella mia vita, probabilmente avrei potuto farti vedere come si fa. Tutto quello che mi resta da scriverti, invece, è un moto irregolare di idee, pensieri, frasi, immagini senza capo né coda. Dovrai farcela da solo, questa è la verità. Dovrai sopportare le delusioni che ti si piazzeranno in gola quando pensavi ormai sarebbero state gioie, dovrai metterci dentro le dita, liberarti e andare avanti. Dovrai fare ancora moltissime cose che richiederanno una forza a cui ti sembra di aver già dato fondo da un pezzo. Io lo so cosa siamo capaci di fare. Comincio a distrarmi e la sedia si fa scomoda, devo correre a occuparmi del tuo presente. Se tutto andrà come spero ancora che vada, vivrai il resto della vita come se io non fossi mai nemmeno esistito. In caso contrario però, passa a trovarmi.

domenica 8 novembre 2015

La versione di Damocle


Col tempo passa sempre tutto. Se ne vanno i ricordi, quelli brutti solo dopo quelli belli, i dolori, le preoccupazioni, i rimorsi. Se ne vanno i pregiudizi, quelli che hanno usato contro di voi solo dopo quelli che avete usato contro gli altri, i rancori, le attese, i vuoti allo stomaco, le notti insonni, i risvegli amari apparentemente senza motivo, i desideri che sapevate benissimo non avreste potuto esaudire. Non è certamente una faccenda di pochi giorni, servono mesi, anni in alcuni casi, né c'è modo di crederlo possibile quando ne è passato ancora troppo poco. Eppure col tempo tutto si sistema. Tornano al loro posto le pretese, i sogni, le distanze, i giudizi affrettati, le mancanze, i pesi rimasti troppo a lungo sullo stomaco, le mani dopo aver giaciuto sugli occhi stanchi. Col tempo uno poi sta meglio, si rasserena, smette di battere il bastone sulla propria schiena con una mano e di muovere la carota davanti al proprio muso con l'altra. Quanto bene può fare il tempo. Basterebbe trovarlo scritto da qualche parte sui libri di scuola o in un trafiletto dentro il Codice Civile: IL TEMPO NON GIUDICA, GUARISCE. Che gran sollievo sapere che prima o poi anche le scelte più difficili, persino quelle più sbagliate smetteranno di darvi il tormento facendo baccano ogni volta che provate a dormire. Col tempo passa ogni cosa. Svanisce l'ansia, il senso di responsabilità, la paura di decidere, quella di rimanere e anche quella di andarsene, lo strazio per le bugie, la vergogna per le verità, l'amarezza per le rinunce, l'imbarazzo per i sentimenti troppo precoci. Non abbiate fretta, prendetevi tutto il tempo che vi serve. State solo attenti che se quello passa e non vi trova, non torna più.

martedì 15 settembre 2015

La sete


Svegliarmi domattina ed essere acqua, questo vorrei. Svegliarmi e tutto intorno sentire il freddo del vetro di cui è fatto un bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto che poi dipende da chi se lo beve. Ma tu bevilo, bevimi così la facciamo finita. Svegliarmi vorrei domattina e guardare il pavimento dall'alto del comodino, mentre una mano sbadata che cerca la sveglia mi spinge quel tanto che basta per farmi rovinare sul pavimento e poi arriva il cane e con un paio di lappate risolve il problema per sempre. Sei tu il cane? La bottiglia? Il bicchiere? La mano? La sveglia? Il Pavimento? I tempi verbali che non ne scelgo uno giusto nemmeno per sbaglio? Le virgole che ne metto sempre troppe o troppo poche e vanno a infilarsi ogni volta nel posto sbagliato? Svegliarmi nel rubinetto e tutto schiacciato aspettare di poterti lavare la faccia e poi cadere dentro il tubo di scarico e giù fino al mare, questo vorrei domattina, essere acqua e tu il rubinetto o il tubo di scarico o il mare che insomma dentro mi ci confondo e non ho più bisogno di sembrare quello che non sono. Essere acqua, acqua come tutta l'altra acqua e non già più preziosa, più naturale e pulita, questo soltanto vorrei. Glu glu glu.

domenica 30 agosto 2015

Fonte di salvezza


La paura bisogna farla a pezzi piccoli piccoli, calpestarla, saltarle sopra finché i propri abiti non cambino colore, completamente intrisi di sudore, ignorarla, prenderla a schiaffi, a calci, a pugni sopra gli zigomi e restare stupiti per il rumore sordo che fanno le ossa quando si rompono, così diverso da quello dei film. La paura bisogna capirla, assecondarla affinché si sveli, si confidi, si apra, si faccia avanti convinta di potersi fidare, e solo allora guardarla negli occhi e dirle che lì non c'è più posto per lei, invitarla a prender la via dell'uscita e gridarle di non tornare e che se anche lo facesse, nessuno potrebbe aprirle mai più. La paura bisogna abbracciarla e, tenendola stretta, sussurrarle un sorriso con le labbra appena appoggiate sopra le sue, stupirla col coraggio, quello vero, fatto di gesti e non di schifosissime parole. La paura bisogna rimandarla al mittente, scacciarla, rifiutarla, spaventarla, spaccarla, stringerla fino a toglierle il fiato, deriderla, umiliarla. Se ci si vuole salvare, alla paura bisogna farle tutto, tranne che scriverne come se esistesse davvero.

domenica 12 luglio 2015

Permettete due parole?


Sono stanco di troppe cose. Stanco come non avrei mai detto si potesse essere. Sono stanco di tutto quello che non ho mai avuto il coraggio di fermare prima che diventasse esso stesso stanchezza. Sono stanco di provarci quel tanto che basta a mettere a posto la coscienza, stanco di credere di avere una coscienza, stanco di immaginare che la coscienza esista davvero, che sia qualcosa di tangibile, definibile, spiegabile. Sono stanco di molte cose. Sono stanco di fare sul serio, di metterci tutta la forza che posso e vedere che non serve a un cazzo, stanco di lamentarmi, di leggermi mentre mi lamento, di lamentarmi in pensiero, di frignare come un cucciolo di cane a cui abbiano tolto all'improvviso il ventre caldo della madre. Sono stanco della segnaletica orizzontale che sbiadisce pochi giorni dopo essere stata rinnovata, delle buche che mi fanno inventare ogni giorno nuove bestemmie, delle cuffie che continuano ad annodarsi, Gesù Cristo: siamo nel 2015 e ancora le cuffie si annodano. Sono stanco di essere gentile, di ringraziare sempre, di chiedere scusa ogni volta, di provare a spiegare, di cercare a ogni costo la soluzione invece che il colpevole. Sono stanco di entrare nei negozi gridando buongiorno, di uscirne allo stesso modo e notare che nessuno all'interno si è preso la briga di rispondere. Brutti figli di puttana, il vostro cazzo di buongiorno verrò presto a strapparvelo di bocca con un paio di pinze da meccanico, allora vedremo se sarà un buongiorno. Sono stanco di lasciare il posto a sedere sui mezzi pubblici alle donne gravide o alle persone anziane e vedere che queste non ringraziano e nemmeno spendono mezzo maledetto sorriso. Ma cosa cazzo credete di risolvere facendo il muso duro anche a chi tenta faticosamente di portarsi addosso un briciolo di buona educazione durante l'interminabile giornata? Ma dove cazzo erano i vostri genitori mentre i miei passavano la loro misera vita a insegnarmi fino alla nausea quanto fosse importante il rispetto degli altri? Sono stanco dei finti diplomatici che ricambiano l'amicizia e poi conducono guerre sante contro la tua piccola religione personale che ti vieta di badare a quel che fanno gli altri, per concentrarti su quello che sai fare tu. Stanco di chi non vede la fatica del tuo mettere un mattone sull'altro per anni, ma è subito pronto ad additare la cima della tua modesta casa, come se l'avessi costruita rubando dalla rimessa della sua flaccida e inoperosa saccenza. Sono stanco delle persone, del mio volerle intimamente fuggire, ma anche del non saperne fare a meno. Sono stanco della mia memoria che funziona solo quando le pare e quando le pare è sempre il momento sbagliato. Sono stanco di tutti quelli che non hanno il coraggio di darti il consiglio giusto, anche se è il più azzardato, di quelli che ti obbligano a ritornare in te ogni volta che, dopo tanta fatica, realizzi che non vivrai tanto a lungo da poter giustificare la maledetta paura di tutto. Sono stanco dei carboidrati che fanno ingrassare, della pizza che è sempre così buona, delle sigarette che puzzano ma ancora me le sogno la notte, del latte di soia che ha lo stesso sapore del docciaschiuma, della fila alla cassa con l'impiegata che non ti guarda negli occhi, stanco di inserire il codice PIN, di dimenticarlo all'improvviso e dover provare altre due volte con la paura che ti blocchino la carta di credito, stanco dei parcheggi a pagamento che anche quando ne trovi uno non sai mai dove cazzo comprare il tagliando e se per miracolo scovi una torretta a due passi, allora non hai spiccioli in tasca. Sono stanco dell'acqua minerale nelle bottiglie da due litri, ciascuna confezionata in fardelli da sei, stanco delle scale, degli ascensori perennemente occupati, dei bonifici che non arrivano, delle ferie che non sono un diritto ma diventano un premio, delle mele avvizzite al supermercato, del tizio che mi fa il pieno di gasolio ma si chiama benzinaio, ma perché non lo posso chiamare gasolaio? Perché? Sono stanco di farmi la barba, di sentirla crescere nell'arco di una notte, di vedere i pori che si dilatano per far spazio ai peli e la pelle che si tende. Sono stanco del sangue quando mi taglio, del fatto che, come l'opzione annulla stampa che non funziona nemmeno se chiedi aiuto alla Madonna, non cessa di sgorgare da una microscopica ferita sul viso mentre penso: stavolta muoio dissanguato. Sono stanco davvero di un sacco di cose, e più di tutto mi stanca la consapevolezza che non smetteranno mai di aumentare. Sono stanco dei vicini di casa che cucinano piatti dall'odore prelibato quando non ho niente per cena e pastoni dall'olezzo nauseabondo quando ho messo in tavola qualcosa di decente. Sono stanco dei cani che la fanno per strada e dei loro padroni stronzi che non la raccolgono, e me li immagino mentre, tornati a casa, sbraitano guardando il TG e dando ai migranti la colpa della scabbia. Sono stanco di quelli che accendono la sigaretta mentre escono o la buttano poco prima di entrare portandosi dentro l'ultima boccata di fumo. Sono stanco di essere considerato un pedante ex fumatore che rompe i coglioni, invece che ammirato per aver smesso da anni e non esserci mai più ricaduto. Ma chi cazzo ve lo dice che dovete fumare? Dove sta scritto che non dobbiate aspettare di essere abbastanza lontani da chi non sopporta la vostra puzza per dar fuoco a una dose. Sono stanco di quelli che chiamano drogati i drogati e non sanno che la loro dipendenza dall'odio e dalla rabbia a prescindere è un giogo persino peggiore. Sono stanco del salumiere che vuol sempre farti un chilo di prosciutto quando nei hai chiesti cento grammi: che faccio, lascio? E lascia lascia, io che faccio, pago? Oppure me ne vado e se provi a fermarmi ti spacco la faccia col tuo stesso chilo di prosciutto? Sono stanco di chi ti si avvicina e poi si ritrae, di chi sostiene di amarti ma non te lo dice, di chi non ti ama ma te lo dice lo stesso, stanco di quelli che non sanno misurare la grandezza di un sentimento ma non esitano un istante a quantificare una distanza, stanco di chi ti accusa di non ascoltare ma poi ti chiama per sbaglio col nome del suo ultimo ex, stanco dei cocktail a dieci euro fatti sistematicamente con tre parti di acqua, stanco dell'ebbrezza che dura sempre troppo poco, dei vizi, delle abitudini, delle licenze, dei dogmi, delle deroghe, dei guanti di plastica al reparto frutta, dei sacchetti e degli scontrini, di quelli che passano i loro acquisti su tutte le bilance per scegliere quella che riporta il peso minore, mentre tu vedi scorrere la tua vita di merda guardando le loro nuche sudate. Sono stanco di chi giura che non ti giudicherà e poi ti condanna, stanco di quelli che si riempiono la bocca con parole come digitale, popolo del web, internet, social media qualsiasi cosa e se gli chiedi di farti fare un colloquio con Skype, invece che millequattrocento chilometri in trentasei ore, sgranano gli occhi come se avessi preteso da loro che ti dividessero un atomo lì su due piedi. Sono stanco di sopportare quelli che non si lavano anche se possono e quelli che non sempre ci riescono anche se vorrebbero, stanco della mia indifferenza, della mia ostentazione, della mia inazione, della mia attrazione per l'ozio, per le pause, per le chiacchiere, per la mia critica sempre sarcastica e mai costruttiva. Sono stanco di molte altre cose che non ho la forza di elencare e che non potrei comunque combattere. Ma per fortuna, almeno di me, posso fare a meno.

sabato 11 luglio 2015

La voce del padrone



Smettetela una buona volta di parlare dei vostri cani come se fossero bambini. Vi manderei al rogo, altro che Giovanna D'Arco. Ma che cazzo li chiamate amore, tesoro, gioia? Peggio, credete che davvero chiamarli Otto o Charlie o Billy faccia per loro una qualche maledetta differenza? Ma davvero fate? Le bestie riconoscono al massimo la voce del loro padrone, ma assai più probabilmente è l'odore che regala loro una parvenza di interazione intelligente. Avete mai provato a far chiamare il vostro cane col suo nome da uno sconosciuto in un luogo rumoroso? Nove volte su dieci se ne fotte. E se accade invece in un luogo silenzioso, quello si gira perché sente il "rumore" della voce, non certo perché qualcuno ha pronunciato il suo nome. Birillo, Rudy, Trudy, Clementina, Tyson. Voi siete scemi. Scemi, imbecilli e rincoglioniti, ecco cosa siete. Potete tenerli i cani, per carità, povere bestie incapaci di odio, ma prendetevi dei tranquillanti e non cercate di supplire alle mancanze umane con un'ossessione che vi rende ridicoli. Questo per non parlare dei vostri figli finché non compiono il diciottesimo anno di vita.

domenica 14 giugno 2015

Salto in altro


Gli entusiasti. Ecco un'altra meravigliosa categoria di persone che, durante gli inverni più rigidi, sarebbe bellissimo dare alle fiamme per produrre calore umano. Va bene la felicità, la gioia e l'eccitazione improvvisa che ne conseguono. Va bene se c'è un motivo che le scateni, ma io quelli entusiasti sempre e per forza non li capisco. Voglio dire, proprio non li tollero, dovrebbero starsene chiusi dentro a un bunker, sotto metri di terra. A pane e acqua li metterei, per un mese almeno, così poi vediamo se riescono a smettere di vivere come invasati. La cosa peggiore di questi soggetti è il disagio che mettono addosso alle persone normali. Per favore, adesso non cominciamo la solita, lunga, inutile discussione sul concetto di normalità. Normali come me e voi, come la maggior parte delle persone che non hanno bisogno di fingersi in preda all'effetto di una massiccia dose di LSD per poter credere e far credere di star godendo appieno del piacere di vivere. Per me possono andarsene tutti al diavolo. Oppure cominciare col fare colazione con pane e bromuro tutte le mattina per un anno. Poi tornino e ne riparliamo. Il fatto è che se non ridi, ti chiedono cos'hai, cos'è quell'aria cupa. Ma quale aria cupa? Ma di che cazzo parlate? Io rido, rido molto, lo confessano le rughe profonde che ho ai lati della bocca. Io rido perché molto ho pianto e tanto vorrei piangere ancora. Però non mi riesce. Ma questa, questa è un'altra faccenda. Aprono la bocca fino a farti vedere la trachea, impressionati oltre ogni misura perché di fronte a una buona notizia non sei corso a comprare una bottiglia dello champagne più costoso che il supermercato sotto all'ufficio abbia sullo scaffale. Ti guardano seri, quasi volessero attraversarti da parte a parte, proprio non li fa star bene il fatto che, nell'imminenza di un discreto successo lavorativo, tu non abbia fatto salti di gioia tanto alti da far rabbrividire persino il Sergej Bubka che, nel 1994, segnò un record storico che ancora oggi nessuno è riuscito a battere. E magari, questi malati di positività, nemmeno lo sanno chi cazzo è Sergej Bubka.

domenica 3 maggio 2015

Sottovoce


Mi irritano quelli che non alzano mai la voce. Mi fanno terribilmente incazzare le persone che, persino quando ti stanno sedute accanto, non riesci a sentire quello che dicono. Odio quando mi costringono a chiedere continuamente: "Eh? Come scusa? Cosa? Puoi alzare la voce?". E se gli domandi perché diavolo farfuglino continuamente le loro amenità come se stessero recitando il rosario, ti rispondono che non vogliono far sapere i fatti loro agli sconosciuti, a quelli che gli sono intorno per caso. Ma santa pazienza, davvero credete che mentre prendete un caffè al bar, la gente che sta facendo la stessa cosa brami di sapere i cazzi vostri? Pensate veramente che la vostra vita senza momenti eclatanti o degni di nota possa distrarre qualcuno dal proprio smartphone o dalla cazzata che sta raccontando per far colpo su qualcun altro? Di quel che dite, a malapena frega qualcosa a me — e a me state direttamente parlando — immaginatevi agli altri. Fatevi capire, parlate con un tono di voce decente, non come se fossimo al confine col paese nemico e dietro a ogni cespuglio si nascondesse una spia pronta a vendere la vostra verità. Ma adesso che ci penso, statevene in silenzio, è meglio.

martedì 14 aprile 2015

Non lo so dire


Non lo so dire, se fossi qui, che farei. Non lo so immaginare, se fossi qui, che direi. E forse sai bene che, se fossi qui, potrei non fare o dire niente, eppure capiresti che sono felice.

Un milione di volte


Tieni, prendi la mia mano, sono passato di qui un milione di volte e ho segnato con lo sguardo i passi che avresti posato accanto ai miei, se fossi stata qui. Ascolta, sono tutti rumori che ho sentito fino alla noia, posso descriverli, uno per uno, un attimo prima che li senta anche tu. Ho immaginato le tue parole strambe e magiche che mi chiedevano cosa fosse quel verso, oppure quel sibilo sopra l'erba bagnata, o quel rotolare sordo lungo la valle, apparentemente molto lontano. Ho qui una risposta per tutto. Chiedimi, parla, ridi, allontanati ma non troppo, lascia che non abbia importanza il tempo che passa. Tieni, prendi la mia mano, sono passato di qui un milione di volte ed ero già lontano al punto di poter pronunciare il tuo nome e sentirti rispondere il mio.

Quando due persone si amano


Quando due persone si amano, lo sa chiunque. Lo sanno loro e tutte le cose che incontrano per caso. Quando due persone si amano, lo sanno gli appartamenti sfitti nelle periferie lontane, le persiane abbassate perché d'estate la luce arriva troppo presto, gli estranei che resteranno tali per sempre, tutti stretti dentro questa parola, estranei. Quando due persone si amano, lo sa la carta che una volta sarebbe servita per dirselo e oggi se ne resta chiusa in una scatola di cartone, lo sa il telefono che squilla e nessuno risponde, la notte che dura sempre troppo e il giorno che finisce troppo presto, la portiera dell'auto mentre qualcuno ci si appoggia, la pelle che spera sempre di poterne toccare altra. Quando due persone si amano, lo sanno i paesini di montagna e le spiagge lunghissime dei lidi che vivono solo d'estate. Lo sanno i cuscini, le coperte, le lenzuola e persino il soffitto che vive ogni storia d'amore come fosse la sua. Quando due persone si amano, lo sanno che non è vero.

Un dosso


È come quando qualcuno guida e tu siedi dietro, lungo la strada placidamente arrotolata intorno alle ruote dell'auto, a un certo punto un dosso, un dosso morbido ma prepotente. Quel vuoto può essere un piccolo piacere, una carezza al basso ventre, un sorriso che non riesci a trattenere. Poi passa. Ma può essere, quel dosso, anche un buco, un buco grosso così. Un buco che se ti ci affacci, cadi dentro senza sapere se e quando arriverai da qualche parte. Ecco cosa sono il dubbio, l'egoismo, la cattiveria involontaria, i vizi: un pozzo nerissimo che sta dentro ciascuno. Quel buco terribile ha la forma e la dimensione della persona che desideri, quella della persona che non ti vuole davvero, ma non sa lasciarti andare.

domenica 8 febbraio 2015

Le cose per bene


non giungere a conclusioni affrettate
non corrermi incontro
non pensar male
non immaginare cose non vere
non dirmi quel che vorresti
non mettermi a parte dei tuoi dubbi
non indicarmi chi mi ha preceduto
non rimanere in silenzio se io parlo troppo
non chiedermi niente
non darmi risposte che non mi riguardano
non ti aspettare niente
non credere che sia il momento giusto
non pensare io sia stupido, né che non sappia tutto quanto c'è da sapere
non muovere un passo
non allargare le braccia
non profumare di buono
non mi aspettare per finta
non guidarmi se nemmeno tu hai ancora imparato la strada
non ti sedere troppo vicino
non andare a nasconderti troppo lontano
facciamo le cose per bene
non esistere
 

mercoledì 4 febbraio 2015

Almeno voi


Dovrebbero starmi tutti lontano. Molto più di quanto non facciano già. Dovrebbero vivere tutti talmente lontano che nemmeno un volo internazionale potrebbe farmi avvicinare senza che sia prima necessario fare scalo almeno due volte. Dovrebbero evitarmi tutti quanti. Evitarmi come si evita qualcuno la cui compagnia è quanto di peggio possa capitare. Dovrebbero ignorarmi, tutti dovrebbero fingere che io non esista. Non mi parlate, non mi guardate, non mi scrivete, non mi date retta se mi lamento perché ho male da qualche parte, se vi giuro su Dio che non ho altro pensiero che voi. Lasciatemi stare e pensate alla vostra vita. Fate le cose vostre e, se tendo la mano sgranando gli occhi e piangendo perché ho fame, fate finta di niente e passate avanti. Salvatevi, voi almeno.

sabato 24 gennaio 2015

Tanto tuonò


Io non crollerò. Colpitemi quanto vi pare. Se avessi dovuto crepare, sarebbe già successo. Io non mollerò nemmeno quando ciascuno di voi avrà riversato fino all'ultimo grammo della propria energia in calci senza sosta sulle mie caviglie già malandate. Io un muro lo troverò, una parete a cui appoggiare il palmo della mano, fidatevi, saprò raggiungerla sempre. Finché i muscoli attorno al collo non s'irrigidiranno in un moto di protesta — a questo punto incontrollabile — che attendo si sollevi  già da anni, non smetterò di spostare gli zigomi affinché i vostri pugni colpiscano il vuoto. Io pancia a terra non mi ci butterò e nemmeno muoverò le mani perché attutiscano la pesantezza delle vostre legnate. Io non mi arrenderò nemmeno se mi mancherà il fiato, se il cuore mi sfonderà il petto spingendo da dentro, se per cena scaverò nei rifiuti e a colazione succhierò una caramella trovata per strada. Ve lo potete sognare di mandarmi al tappeto, nessun arbitro — dall'alto del suo cravattino borioso — batterà il pugno accanto ai miei occhi chiusi, pensando di salvarmi la vita arrivando il più presto possibile a dieci. Mi dovrete smembrare, e persino allora sarò duro a dissolvermi dentro alla terra. Io vi schianterò tutti, uno per uno, vi aspetterò come una trave di legno nel buio, come uno spigolo che non sapevate ci fosse. Queste cose avrebbe voluto dire, ma si piegò sulle ginocchia e cadde in terra.

sabato 17 gennaio 2015

Tutto e dubito

Ridatemi indietro tutto quello che vi ho dato. Io non lo sapevo che avrei potuto anche dire di no. Ridatemi l'infanzia, il sangue sulle ginocchia, la polvere sotto alle unghie, la merenda al gusto di tasca dei pantaloni, le scale scese due a due, le ramanzine al ritorno a casa dopo il tramonto, i libri di scuola stropicciati e non sempre perfettamente in ordine come se non li avesse mai usati nessuno. Ridatemi la bronchite che non ho avuto a sei anni, il sudore sotto la tuta per l'intero pomeriggio passato a giocare a pallone, il bagno per forza, il sonno profondo, le sveglie all'alba per studiare quel tanto che bastava per non fare brutta figura. Ridatemi la prima sbornia, la prima Marlboro rossa, la gita delle medie e quella delle superiori. Rivoglio indietro tutte le maledette paure che ho fatto finta di non soffrire, me le dovete ridare tutte le mie cazzo di paure. E voglio pure tutte le lacrime che ho inghiottito per sembrare quello che non ero. Ridatemi tutto, tutto e subito o qui finisce male. Le canzoni che ho cantato, i passi che ho camminato, le volte che mi sono svegliato alle sei e mezza del mattino, quelle in cui sono tornato a casa dal lavoro poco prima della mezzanotte, la gentilezza e la buona educazione che mi erano state impartite, la difficoltà a dire bugie, le notti in discoteca, quelle in giro in macchina senza meta, i bagni a mezzanotte, i tuffi dal porto vecchio, di fianco al relitto di quella grossa nave bruciata molti anni prima. Ridatemi i no, i nemmeno per sogno, gli scordatelo, i fattelo tu, i non è un mio problema. Sono tante, troppe le cose che vi ho dato, e non mi muovo di qua finché non le avrò riavute tutte. La mia presenza sempre e comunque, le parole giuste al momento giusto, l'amicizia quando volevo fosse amore e l'amore quando mi sarebbe bastata un'amicizia, la pazienza, il non insistere, il capire sempre che non era il momento, l'aspettare il mio turno. Le mazzate che non ho dato e soprattutto tutte quelle che non ho preso. L'affetto incondizionato che vi ha tenuto in piedi quando nessuno prima ve ne aveva dato di così puro, forte, sincero, vivo. La passione che ha puntellato le vostre giornate noiose. La felicità che vi ho regalato e vi chiedevate perché lo facessi, se davvero la meritaste. E no che non la meritavate, non la meritavate per niente. Ridatemi le cose mie, le cose che da sole non tornano, ridatemele perché ne voglio fare un mucchio più alto di me e, quando sembrerà talmente grande da poter crollare con un soffio di vento, voglio darlo alle fiamme. La roba mia è mia e nessuno la deve più toccare. La brucio, così poi forse guarisco.

domenica 11 gennaio 2015

Più vicino



Sto facendo la cosa giusta. Sto facendo la cosa giusta nel modo più giusto. Sto aspettando senza rischiare, sto lavorando il doppio, sto tenendo duro, sto ridendo delle mie fortune e allontanando la necessità di lagnarmi. Sto lasciando che le cose facciano il loro corso e che, passandomi accanto, notino quanto impegno ci sto mettendo, quanto sono costante e serio, come mi applico quando voglio. Sto rimanendo in silenzio quando avrei voglia di parlare e parlando quando mi piacerebbe tenere chiusa la bocca. Sto scegliendo di non scegliere, sognando di sognare più spesso, tenendo a bada le braccia ogni volta che vorrebbero stringere e le mani quando avrebbero voglia di toccare. Sto facendo la cosa giusta. Sto facendo tutto nel migliore dei modi. È solo una questione di tempo. Tanto quello mica passa per sempre.