domenica 13 novembre 2011

Desid'eri.


Potrei chiamare fortissimo e senza nome e tu sapresti che è per te. Eppure non verresti, perché ti piace sentire che corro e mentre corro muovo le mani per pronunciare parole che saranno soltanto tue. Potrei raggiungerti, infine e, stringendoti le braccia, morire del tuo volto sempre segnato dal sorriso. Eppure non ti faresti trovare, perché ti piace girare intorno agli occhi di chi ti guarda e berne e fartene accarezzare. Potrei metterci tutta la forza che ancora conservo e camminarti accanto senza sfiorarti o rivolgerti inutilmente la parola, solo per dimostrare che so aspettare anche oltre ogni umana comprensione. Eppure smetteresti di camminare, perché ti piace possedere il sentiero di chi ti adora, ma non la sua presenza a chiudere una via di fuga, anche una soltanto. Potrei costruire storie alte venti piani e senza ascensore, storie lastricate di specchi difficili a scalarsi a mani nude, come piacciono a te. Eppure non troveresti pace, perché la pace ti da noia e il tormento è bellissimo a vedersi. Potrei, infine, cancellare ogni tuo passo, affinché la terra non sappia che sei passata e il tempo non riesca a seguirti e a farti sua. Potrei vincere ogni mia illusione ed abituarmi davvero al dolore. Potrei invecchiare e vederti sempre bellissima e mai possederti. Eppure non smetteresti di darmi le spalle e neanche il tormento. Potrei. Eppure nemmeno ti ricordo.



sabato 12 novembre 2011

Come un uccello in rabbia.


Devo tornare indietro a riprendermi il corpo dove ho lasciato i rimpianti. Nella fretta della fuga, ho preso solo i ricordi e parte delle speranze che ho dovuto svegliare di soprassalto alle cinque del mattino.  Non la colazione, né spiegazioni o motivi per un tuffo lungo quanto quel che resta di una notte terribile. Ho guardato dove non c'era niente da vedere. Ho parlato a spazi che non avevano voglia, né tempo di ascoltare. Ho scritto della febbre con le sole mani e senza inchiostro, o carta, o copertine rigide, o scaffali, o polvere. Ho tremato a lungo e il freddo ha voluto illudersi d'avermi vinto e invece era solo paura. E ficcata la mano nel cesto dei giochi, ho avuto il tempo soltanto per tirar via i desideri e con quelli ho saputo sedare ogni rivolta, ho potuto sopportare ogni sacrificio. Ho raccolto gli sguardi bassi che ho trovato per strada e per quanti ne ho ammucchiati nel sacco che porto ancora sulla spalla, si direbbe che il cielo non lo guarda più nessuno.  Ed è una strada, quella che calpesto, una strada piccolissima, fatta per i piedi dei bambini, una strada priva di buche e di dubbi. Devo tornare indietro a riprendermi un poco della forza che ho sprecato nella lotta, una lotta che ho creduto essere la più importante che mi fosse destinata. Devo tornare indietro ma non ancora. Comincio un poco a piegarmi e corro sempre meno e guardo molto spesso ai lati della carreggiata e se pure sento un rumore costante di voci, direi che nessuno ha ancora scelto il viaggio che io ho deciso di intraprendere. Devo arrivare, devo guardare, devo pensare, devo essere uomo e motivo di vita per gli altri. Devo seguire col naso la punta delle mie scarpe, stranamente prive di polvere. Devo battere i tacchi ad ogni crocicchio e fingere che non ci sia modo di svoltare lungo una strada trasversale che chissà dove porta. Devo ignorarti e scoprire, al contempo, dove sei finita che neanche sento più dolore dentro al petto. E le menzogne dentro alla carta del pane. Gli abbracci fortissimi per nascondere il volto. Le lacrime calde per lavarsi la faccia dai sensi di colpa e dalla bocca degli sconosciuti. Devo vincere ogni rancore, capirne il significato, esaminarne le cause. Devo fare tutto questo e molto altro, mi pare. Non resta che trovare il modo di oltrepassare le pareti, solo questo.


domenica 6 novembre 2011

Ric'ordire.



E dentro al vento possiamo ancora sperare di trovare le voci che abbiamo cercato a lungo, senza mai riuscire neanche ad immaginarle. E dentro alla pioggia che ha smesso di essere salvifica, per sfuggire ai quei luoghi che definiamo comuni, dentro a quell'acqua furiosa possiamo mettere pure l'amore e la paura e la speranza e la rabbia e la forza e il coraggio e il domani e tutto quello che viene o non verrà. E dentro alle persone possiamo ancora conservare il ricordo dei nostri errori, la voglia tremenda di avere fame per il solo gusto della fame. E dentro alle mani possiamo dare giusto riposo ad altre mani frenetiche, quelle mani che hanno cercato i segni del nostro volto nel buio, per anni lunghissimi eppure pieni di dolcissime aspettative. E dentro alla terra possiamo mettere a giacere il disagio che ancora la terra sa darci. E sono stato piccolo invano, fanciullo inutilmente, adolescente terrorizzato, uomo insensibile per il solo timore di non esser capito. E dentro alle parole, infine, ho saputo nascondere tutto quel che volevo dimenticare e adesso che vorrei farlo, non me lo ricordo.