martedì 21 settembre 2010

Ninna nenia.


E non sono le congiunzioni a guisa d'inizio. Non le parole scarne del primo inverno. Non è il vento che increspa l'acqua salata alla tiepida luce del vespro. E non sono le vocali che schioccano come il sonoro vibrare della frusta. Non le grida del fattore alla bestia, movendola verso casa alla sera. Non è il dolore sottile delle tempie madide. E non sono le frasi calme dell'ozio, quelle sussurrate nella cecità dell'oblio. Non la lontananza degli anni, sedata con l'astuzia del ricordo. Non è la notte che troppo presto balza sull'uscio. E non sono i rumori sottili delle foglie che cedono al passo veloce delle nostre stupide scarpe. Non è la passione silenziosa dell'adolescenza timida. E non sono le preghiere del breviario che si contorcono sulle labbra delle giovani donne pentite. Non la vergogna per l'estasi della carne. Non è il tonfo che rompe la gola. E non sono infine le gocce che solcano il volto. Non i sospiri pesanti. Non è nulla di tutto questo. Solo il tempo che passa.

giovedì 16 settembre 2010

Parola d'odore.




Le parole peggiori sono quelle che bramano d’essere lette. Impettite, agghindate come meretrici dell’ultima ora. Goffe  e spesso ridicole, appesantite dal belletto economico della provincia. L’odore tremendamente infinito delle madri d’un tempo, misto di sofferenza e bontà, comprensione e idiozia.

sabato 11 settembre 2010

L'insostenibile leggerezza del tessere.





Un interminabile lavoro a maglia, come quello delle vecchine scure dell’infanzia. Eternamente silenziose alla porta del proprio basso da una stanza. Il sodalizio meschino che apparenta il vivere al soffrire. Di queste cose, il cui nome suona orrendamente alle orecchie dei vivi, è fatto il garbuglio nevrotico della mente umana. Ma anche di corse a perdifiato e di tentativi continui di raggiungere il posto più lontano, dove nascondersi alla vista della consapevolezza. Conoscete sicuramente e forse non lo sapete, un mucchio di gente che non vi ha mai raccontato della propria vita passata. Tra quelli che frequentate, fidatevi, c’è più gente straniera di quel che possiate immaginare. Straniera a se stessa, s’intende. Apolidi della coscienza. Sono per la gran parte coloro al cui sguardo sappiamo talvolta essere senza sostanza.  Coloro che, guardati attentamente, paiono davvero non sapere cosa si nasconda oltre la punta del loro naso. Gente scioccamente felice insomma. Latitanti di lunga data, le cui ricerche sono cessate da un pezzo. Mentre sorridete per queste piccole idiozie, provatevi a chiedere in giro se qualcuno si ricorda davvero di voi e della vostra infanzia. Sorridete ancora, quando nessuno saprà rispondervi. Sorridete e siate felici.

domenica 5 settembre 2010

La belva e la bestia.



C’è sempre qualcuno, costretto carponi ad osservare gli altri che si divertono, sporgendo l’iride oltre le crepe dei muri, oltre le assi del pavimento. Qualcuno che teme di mostrarsi. Qualcuno che vorrebbe partecipare alle risate e non esserne causa ed oggetto. C’è sempre qualcuno obbligato a tendere l’orecchio oltre i mille rumori di fondo, tenendo premuta la faccia sul rivestimento freddo del bagno, oltre le porte chiuse a doppia mandata. Qualcuno che fugge le proprie parole eppure vorrebbe pronunciarle a voce alta, senza timore d’esserne investito e condannato. Sempre osservati ed ascoltati di lontano. Saremo sempre invidiati, ammirati ed infine odiati, come si odia la causa del proprio malessere. Non allargheremo mai le crepe nei muri, è vero. Non divelleremo mai le assi dell’impiantito, è vero. Non libereremo mai le serrature che ci proteggono, è vero. Sani eppure cattivi. Tutt’intorno, nelle mille penombre, il bene, zoppicando goffamente, ci spia.