martedì 16 agosto 2011

Piove sul dannato.



Non è per me la serenità. Non è per me il buonumore. Non è per me la carezza della madre. Non è per me il bacio della partenza e del ritorno. Piove desiderio e me ne bagno, evito facile riparo, la giacca fradicia, la mente semplicemente confusa. Dove l’acqua dissolve persino il tessuto, dove la perniciosa operosità della caduta scava la roccia, dove il suolo raccoglie lo sguardo che scivola ai lati del perduto sorriso, in quel tempo perennemente presente, subisco l’apatia di chi mi precede, come quella di chi mi succederà, suo malgrado.

Detto tra poi.



E non ho voglia di vedere nessuno, sentire voci, abbozzare sorrisi, non mi va. Urla di patetici piccoli tiranni a quattro ruote. Strepiti imperiosi e dita dritte, puntate sulle madri. Non riesco a tirare gli angoli della bocca dietro alle orecchie. Chi mi guarda dovrà accontentarsi del vuoto. Chi mi incontra dovrà credere di potermi attraversare, da parte a parte come un muro d’aria. Una barriera, un soffio. Non sarà cercando la notte che troverò la pace. Non sarà chiudendo gli occhi che cesserà il dolore. Ritornano le sagome opposte per anni alla luce del sole, le ombre amiche. Le parole sussurrate nelle strade invase dal sonno, quei discorsi pieni di ira e risate, l’essere ancora quasi bambini. E non ho voglia di osservare la bottiglia che prende colore alla luce del lume, scostare corpi col dorso della mano, farmi spazio nelle note pesanti ed ottuse, non mi va. Rigido, al centro della stanza, in penombra, in un fasullo silenzio, dedito a riflessioni leggere che sembrano verità sul destino dell’uomo. Non è come sembra.

domenica 14 agosto 2011

Mosso di sera.


Quelle che chiedono un passaggio ai bordi della strada, sono solo note a margine, chiamate a spiegare, a farci spiegare. Così mi disse mentre tenevamo entrambi un capo della stessa corda. Ci eravamo giurati che quella piccola corda sarebbe stata il nostro legame fisico, fintanto che ne fosse esistito uno e che l'avremmo tagliata non appena fosse stato opportuno, necessario. Lei diceva tante cose, esattamente come facevo io. Il più grande sacrificio reciproco era trovare la pazienza necessaria ad ascoltare l'altro prima di sommergerlo con i propri pensieri. La proibizione più dolorosa a cui amavamo sottoporci era cercare di non consumarci troppo in fretta. Consumarci a vicenda era il mestiere che avevamo sempre sognato e lo facevamo in ogni senso possibile. Tutte queste cose mi vengono in mente, mentre stringo forte il mio pezzo di quella piccola corda.

domenica 7 agosto 2011

Bugie stanche.


Nulla è più bello che sederti accanto mentre parli e non vedi che sono felice. Osservare le labbra di cui sento costante il ritrovato contatto. Percepire che ogni piccola cosa diviene importante. Pronunciare parole che svestono panni troppo severi. Il vuoto allo stomaco del dirti, sereno, quello che provo nell'esatto momento in cui aspetto un abbraccio. Dare alle braccia il compito ardito di stringerti senza farti del male. Promettersi di non spendere troppe carezze. Cercare di non mettere l’anima in ogni bacio che non cerca la bocca. Nulla è più bello che metter da parte ogni futile motivo di ira, restare per ore sospeso nell'incredibile forza della tua semplicità. Arrossire perché scrivo soltanto per te. Leggere perché tu arrossisca e sorrida per i miei occhi lontani. Compiere ogni quotidiano dovere col puntello costante della consapevolezza di te. Ogni respiro è nuovo, quasi mi mette paura. Ogni motivo è profondo, quasi non temo che il tempo misuri la sensazione. Nulla è più bello che essere uomo e pensare che pensi e sarai presto vicina. Quante sciocche parole non temo di scrivere ancora.