domenica 28 novembre 2010

Il calice della salvezza.


Questi momenti splendidi, durano quanto le bolle in cui si trasforma l'acqua mentre la torturiamo a cento gradi centigradi. Appena spenta la fiamma, esse cessano d'esistere e ci pare che i lunghi minuti d'attesa siano andati inutilmente perduti. Mentre la pentola smette di pronunciare le sommesse parole tipiche del proprio mestiere, perdiamo quella vaga sensazione di festa che la cucina dona ogni volta che le si rende omaggio. Come l'appetito estremo che sopraggiunge alla metà del giorno, quando da ore si è divorata la fredda colazione del mattino solitario. Ad ogni saporito boccone va scemando l'effetto endorfico della masticazione gustosa. Tutto termina sempre nella caduta della percezione. Troppo in fretta o più raramente con eccessiva lentezza. Così il vino. A mezzo bicchiere di rosso dal tracollo assoluto e funesto della sobrietà, si ha quasi l'impudente sensazione di tenere tra l'indice ed il pollice della mano destra la felicità.

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