domenica 13 novembre 2011

Desid'eri.


Potrei chiamare fortissimo e senza nome e tu sapresti che è per te. Eppure non verresti, perché ti piace sentire che corro e mentre corro muovo le mani per pronunciare parole che saranno soltanto tue. Potrei raggiungerti, infine e, stringendoti le braccia, morire del tuo volto sempre segnato dal sorriso. Eppure non ti faresti trovare, perché ti piace girare intorno agli occhi di chi ti guarda e berne e fartene accarezzare. Potrei metterci tutta la forza che ancora conservo e camminarti accanto senza sfiorarti o rivolgerti inutilmente la parola, solo per dimostrare che so aspettare anche oltre ogni umana comprensione. Eppure smetteresti di camminare, perché ti piace possedere il sentiero di chi ti adora, ma non la sua presenza a chiudere una via di fuga, anche una soltanto. Potrei costruire storie alte venti piani e senza ascensore, storie lastricate di specchi difficili a scalarsi a mani nude, come piacciono a te. Eppure non troveresti pace, perché la pace ti da noia e il tormento è bellissimo a vedersi. Potrei, infine, cancellare ogni tuo passo, affinché la terra non sappia che sei passata e il tempo non riesca a seguirti e a farti sua. Potrei vincere ogni mia illusione ed abituarmi davvero al dolore. Potrei invecchiare e vederti sempre bellissima e mai possederti. Eppure non smetteresti di darmi le spalle e neanche il tormento. Potrei. Eppure nemmeno ti ricordo.



4 commenti:

  1. i'm back.

    dopo un secolo sono tornata.
    e mi sono fatta una scorpacciata di ultimi post.

    i tuoi li adoro, come sempre.
    mi rivoltano tutta come un calzino e mi fanno perdere tra me ed il mondo.

    e adoro la nuova grafica e questo stile di immagini.

    un abbraccio

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  2. Specchio alle 03 .

    Meraviglioso si, ma ahia che male. Tanto.

    Sento il tunnel scavato al centro del cuore

    Altro che.

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  3. Adoro segretamente gli abbracci. E le gallerie silenziose che sanno scavare nel centro del cuore.

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  4. Ci sono cose che certi occhi, già abbastanza miopi, dovranno rassegnarsi a non riuscire a vedere mai.
    Cose che, un campo visivo dovrà accontentarsi d’accogliere solo sotto forma di patina vitrea, velo sottilissimo, eppur così spesso, ingombrante.
    Di sale grosso, disobbediente, un poco amaro. Che ribelle brucia le orbite, trabocca, e segue sentieri capillari d’un collo, scoscesi.
    Un viso che s’ostina con tutte le forze a non farsi guardare negli occhi, e la lingua terribile del tormento delle dita annesse.
    L’aspetto più grottesco d’un gioco al massacro, un’impressione. Una vita che anche una volta abbia adorato qualcuno invano, s’affranca dall’onta a un prezzo assai alto. Non già devozione del singolo, ma di masse abbacinate.
    Impietoso, come un margine di dubbio.
    Sufficientemente ampio come una parete contro cui sperticarsi le pugna con sommo furore.
    Lo stesso tormento di chi s'ammala senza soluzione, perché deve rassegnarsi ad essere un portatore sano d’un male senza sollievo di conclamazione.
    Male che logora da dentro, scava per disossare. Un parassita esemplare che si rifiuta di divenire, di farsi peste, piaga, cicatrice visibile .
    Solco.
    Crudele perché non si sente, un coltello senza lama che scava le viscere senza ledere gli organi vitali.
    Ciascuno di quei folli potrebbe chiamare fortissimo senza poter invocare quel nome, semplicemente perché lo ignora.
    E quel nome sa bene cosa si prova. Il sadico.
    Saprebbe che è solo Lui, a essere stato invocato.
    E non si volterebbe nemmeno, né vedrebbe alcunché.
    Neppure se di lui, si morisse. Sotto il vuoto.

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