lunedì 10 ottobre 2011

Tutto d'un fianco.


Deve essere questo il vano motivo che spinge alla scrittura, l’insaziabile voracità dell’eterno che tende a sterminare chi ha il dono della peripezia letteraria. Il doppio salto mortale mi vede atterrare col collo spezzato. Cingimi d’aria e di tenebra asciutta, di poche parole e gesti complessi. Dalle dita leggere capisco i bisogni. Dalla voce sottile intuisco le umane paure. Dal luogo in cui vivi riporto speranze sopra un taccuino usurato. Ogni coperta riscalda i capelli bagnati dalla tempesta appena finita. Nell’orto i tuberi in festa sanno d’esser pietanza e dal grigiore lontano della città di provincia, questo borgo sperduto pare sommo quartier generale. Splendida epigrafe che ridona la vita ad ogni sguardo curioso, ad ogni passo estraneo della domenica mattina. La pietra lungimirante che regala l’immortale desiderio di essere occhi. L’inesorabile assenza di ogni parola. L’ugola sordida di chi trascorre supino il limitar dell’eterno. Si chiama riposo tra i vivi, comunemente rammarico. Tra gli uditori della temuta solitudine della mezzanotte, fra i quartieri disabitati riposa il gioco funesto di ossa lontane, lontane nel tempo e violente al ricordo. Il verbo si fa oscuro, alquanto dubbio, inutile, raro. Lo dissi a chi mestamente recava la mia mano nella propria, lo dissi che ero al limite del sopportabile, qualcosa di comunemente umano. Lo dissi a quel signore arguto che teneva tra le dita gli occhiali pesanti che governano il naso da anni, gli dissi che non avrei atteso ancora a lungo. Non fui creduto. In quale dubbio ti posso ancora trovare? Soltanto certezza. Il tuo colore bruno rimane soltanto certezza ed ancora clamore. Ogni parola che vieta la prosecuzione della verticale discesa agli inferi. Sento qualcosa di tipico e flebile provenire dal fondo del petto, un bellicoso residuo d’anima, qualcosa che non si estirpa come un canino, ancora affondato nella carne gioviale che era pure trofeo di bambino. Eppure ogni determinato momento pare buono al pensiero, ideale alla scrittura, ottimo alla profezia. Nulla ancora è come sembra. Troppo vicino al reale stupore. Apro la bocca e vi entra soltanto aria di seconda mano. Chiudo gli occhi e la luce non trova riposo mentre contorce alle palpebre chiuse, ermeticamente serrate. La vita non entra a far danno, oggi l’occhio riposa, la mente soggiace. Calata la notte, fuggiti i garzoni, moccoli di candela ovunque, vino che a raccoglierne ne vengono botti, sordidi odori che a respirarne si vien colti da tremendo malore, dadi da gioco e tazze d’acciaio, ogni cosa è caduta sul posto dove ci ha colto in flagrante l’astuzia megera del tempo. Corpetto pesante di donna vissuta. Vestito. Lenzuolo. Fazzoletto grondante. Ogni fronte ripete che è meglio la sete e non certo l’eterno stupore del provare a soffrire. In silenzio decidere di ogni cosa che non merita giudizio. Abbandonare la pesantezza delle braccia. Dal sonno lasciarsi dormire.

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