venerdì 3 giugno 2011

Nell'addome del padre.



Seduto ai bordi della strada, i pantaloni di cotone grosso nel fango. Veloce, lungo le pietre e in mezzo alla polvere. Niente case ad intralciare la vista. Sdraiato. Immerso nella salsedine morbida che avvolge la pelle. Le caviglie nel grano, i polsi nell'acqua, la faccia dentro alla terra. In tavola il pasto quotidiano che ristora la schiena, le donne mute e la farina fino ai gomiti. Le piccole giacche sdrucite, poche lezioni per imparare a firmare. La raccolta al mattino, l’alba in cornice, in mostra perenne. La bestia che scaccia l’insetto, i denti piantati nel fieno. Le scarpe senza stringhe, i piedi senza scarpe. Le grandi foglie verdi coi frutti che pungono e fanno star male, le uova rubate al sonno pomeridiano del fattore, il latte nel secchio, il formaggio in soffitta, il vino sottochiave. I romanzi a due lire sotto alla pietra grossa, nell'orto. La fantasia femminile repressa, la figlia del contadino disposta a pagare, le poche letture di una larga periferia senza centro, bianca, silenziosa, acre. I cani rincorsi nei vicoli, i roghi, le forche cattive dei bimbi di strada. La carne alla domenica, una domenica al mese. Le grosse fette di pane, sporche di qualcosa che avesse sapore. L’educazione senza parole, il pudore inflitto a schiaffi, le madri sveglie fino al mattino, otto in un letto. Le vecchie, immobili sulle sedie impagliate. Nel secchio appeso al muro, il giardino invidiato, le liti spiate, le risa senza rimorso, i furti senza peccato, le albicocche mature fino a scoppiare, la brace accanto alla porta, la cenere per spegnere a sera. Il lutto pesante dei lunghi giorni d’estate, il destino patriarcale inflitto alle vedove, il carretto col ghiaccio, il vaso comune per rovesciare i bisogni, le necessità relative. Una piccola sopravvivenza quotidiana, masticata come la prima gomma portata dai soldati. Lo stupore dei bimbi, le divise cucite sui volti neri di alcuni strani americani. Le capre ed i pesci, gli odori frammisti all'olezzo, le rare nebbie all'altezza del capo, le sigarette di giunco rubate alle scope solerti, i corpi vestiti a festa lungo i ruvidi muri della stanza e i balli proibiti sotto gli occhi dei padri, l’amore senza toccarsi. Nei solchi che una volta erano caldo ristoro per le zampe trainanti delle bestie da soma, persi tra i fumi del sottosuolo appena smosso, senza respiro. Nella sabbia dei fondali dove oziano i molluschi. Nella paglia bagnata. Tra i rovi, dove si nascondono i dolci frutti selvatici. Camminando senza motivo.

9 commenti:

  1. E dunque cammini sulle immagini, senza calpestarle.

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  2. Sembra il racconto di un padre o di un nonno. Di un tempo lontano da noi. Sempre belli i tuoi scritti. Da leggere tutto in un fiato. H.

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  3. mi viene sempre in mente la stessa cosa quando ti leggo. penso che le tue parole raggiungano la totale pienezza quando sono lette ad alta voce. sembrano nate per far consumare il fiato e riempire la gola.

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    1. Penso la stessa cosa, e infatti da che son capitata tra queste pagine, non mi capita di rado di ritrovarmi ad alzare la voce senza nemmeno accorgermene!

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  4. Bello! Dove si mette qui mi piace? E assai?
    :)
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  5. Tasto +1 per il mi piace. Torna a leggermi per l'assai.

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  6. Anna, ho dovuto darti retta e leggermi ad alta voce. Di nuovo.

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  7. Non che abbia letto molto. Anzi. Ma non m’è mai capitato prima di guardare a un quadro tanto dettagliato d’un racconto d’un mondo tradizionale, neppure ne’ nomi più altisonanti. Dallo sfumato al corposo, dal solo alluso al marcato a tinte fortissime, dalla traccia in superficie al solco, ne attingo come da un chiaroscuro con molti colori vivissimi disseminati spuri qui e là. E mi serve a ricordarmi il rimorso per una repulsione forse innata per le mie stesse origini. Che sanno d’arcaico, d’angusto , d’asfissiante, di stantìo, d’immobile, d’ingiusto , di sessista ancora oggi,e che non accenna a mutare in nulla, per molti versi. Ma che val la pena di conoscere e imparare a guardare, negli occhi pieni d’ombre e di colori.

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